"La humanidad no encontrará la paz hasta que no vuelva con confianza a mi Misericordia" (Jesús a Sor Faustina)

sábado, 23 de noviembre de 2019

La homeopatía no es un tratamiento y debe ser prohibida su práctica en clínicas y hospitales

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La homeopatía y la Nueva Era son inescindibles.

«L’omeopatia non è una cura, va bandita da cliniche e ospedali»
La campagna dell’imprenditore Nicola Bedin: «Dobbiamo tutelare le persone malate». Già 57 ospedali e ambulatori si schierano per dire no alle cure omeopatiche
«L'omeopatia non è una cura, va bandita da cliniche e ospedali»shadow

«Non è una cura». Già 57 ospedali e ambulatori, anche molto noti come l’Istituto europeo di oncologia fondato da Umberto Veronesi e il Policlinico Gemelli, si schierano per dire no all’omeopatia: e l’elenco è destinato ad allungarsi. L’iniziativa è dell’imprenditore della Sanità Nicola Bedin, 42 anni, che ha deciso di chiamare a raccolta le strutture ospedaliere che bandiscono le cure omeopatiche tra le loro mura. Così sulla home del sito no-omeopatia, pubblico da sabato, campeggia la frase del premio Nobel Rita Levi Montalcini: «L’omeopatia è una non cura, potenzialmente pericolosa, perché sottrae i pazienti da cure valide». Tra le adesioni, anche quelle di movimenti scientifici come il Patto per la Scienza e la Fondazione Gimbe. Dopo un passato da manager ai vertici del Gruppo ospedaliero San Donato e del San Raffaele di Milano, all’inizio del 2018 ha fondato la società Lifenet Healthcare che oggi conta tra le sue proprietà il Piccole Figlie Hospital di Parma, gli ambulatori polispecialistici del Centro Medico Visconti di Modrone di Milano, del CeMeDi di Torino e del Lazzaro Spallanzani di Reggio Emilia, le due cliniche oculistiche Eyecare.

Perché mobilitarsi sull’omeopatia?
«Abbiamo deciso di far sentire la nostra voce a tutela delle persone malate, per evitare che cadano in equivoci e credano che l’omeopatia sia una pratica efficace che sostituisce le vere cure. Non è così, come decenni di studi comparativi hanno dimostrato».

Da dove parte la vostra posizione?
«La Federazione nazionale degli Ordini dei medici ha dichiarato che “non ci sono prove scientifiche né plausibilità biologica che dimostrino la fondatezza delle teorie omeopatiche”. E non cito altre dichiarazioni in tal senso di scienziati come Umberto Veronesi, Silvio Garattini, Alberto Mantovani».

È in cerca di polemiche?
«No, tutt’altro. Credo anzi che sia un’iniziativa doverosa. Abbiamo il dovere di rispettare le persone malate, e non esporre i meno informati al rischio di confondere questa pratica con terapie efficaci. Chi vuole utilizzare preparati omeopatici è libero di farlo. Ma non deve succedere in ospedali e ambulatori medici».

L’omeopatia però è diffusa.
«Aggiungo che oggi i preparati omeopatici in Italia sono fiscalmente detraibili. La Fondazione Gimbe ha stimato che questo provoca uno spreco di risorse pubbliche pari a 50 milioni l’anno. Questi 50 milioni potrebbero invece essere impiegati in modo virtuoso, risolvendo un problema come la carenza di medici. Si potrebbero formare duemila nuovi specializzandi. I posti oggi sono ottomila: diventerebbero diecimila, il 25% in più. Se si ha a cuore il futuro del Paese non si può non fare questi ragionamenti».

Da manager a imprenditore. L’iniziativa no-omeopatia.it è frutto anche della sua nuova vita?
Di fronte a importanti opportunità professionali a inizio 2017, mia moglie, che mi conosce bene ed era incinta del secondo figlio, mi ha fatto una domanda cruciale: “Ma tu cosa vuoi veramente fare?”. “Io voglio fare l’imprenditore”. “E allora fallo”, mi ha risposto guardandomi negli occhi. Non ho più avuto remore, nonostante si trattasse di partire da zero. Di pari passo ritengo importante mettere la faccia su ciò in cui si crede».

Non le manca il San Raffaele, che ha risanato dopo il buco da 1,5 miliardi di euro?
«Il San Raffaele è un posto straordinario. Un patrimonio del Paese. Credo che la figura di don Verzé debba essere rivalutata e ricordata. È stato un visionario. La compresenza di ospedale, centro di ricerca e università ha dato luogo a un modello che è moderno ancora oggi. La sera del mio ultimo giorno lì, l’11 settembre 2017, nell’andarmene ho percorso a piedi un tragitto lunghissimo, come se qualcosa mi stesse trattenendo lì. Quella camminata finale sembrava non finire mai. Ma fare l’imprenditore è stato qualcosa più forte di me. Ho poi cercato di fare tesoro di tutte le cose che negli anni ho imparato».

Un esempio?
«Il grande imprenditore Bernardo Caprotti citando il generale von Clausewitz una volta mi disse: “Nel successo sta il germe della sconfitta”. Intendeva dire che non bisogna mai rilassarsi nella convinzione di essere arrivati. Ma lavorare sempre guardando avanti, con senso di responsabilità».

22 novembre 2019 (modifica il 22 novembre 2019 | 20:49)
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(https://www.corriere.it/cronache/19_novembre_22/04-interni-t10tcorriere-web-sezioni-fe0728ac-0d5e-11ea-a4ca-70fa95996bd0.shtml)

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